REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 14664 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Coordinamento della Conciliazione Forense, in persona del legale rappresentante p.t., e Angelo Santi, in proprio e nella qualità di mediatore dell’Organismo di mediazione forense di Perugia, Camera di Conciliazione Forense dell’Ordine degli Avvocati di Vasto, in persona del legale rappresentante p.t., Maria Agnino e Roberto Nicodemi, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Giampaolo Di Marco, Massimo Letizia, Vittorio Melone e Filippo Tosti, con domicilio eletto presso l’avv. Massimo Letizia in Roma, Via Monte Santo, 68;
Coordinamento della Conciliazione Forense, in persona del legale rappresentante p.t., e Angelo Santi, in proprio e nella qualità di mediatore dell’Organismo di mediazione forense di Perugia, Camera di Conciliazione Forense dell’Ordine degli Avvocati di Vasto, in persona del legale rappresentante p.t., Maria Agnino e Roberto Nicodemi, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Giampaolo Di Marco, Massimo Letizia, Vittorio Melone e Filippo Tosti, con domicilio eletto presso l’avv. Massimo Letizia in Roma, Via Monte Santo, 68;
contro
Ministero della Giustizia, rappresentato e difeso per
legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia in
Roma, Via dei Portoghesi, 12;
per l’annullamento
1) quanto al ricorso, previa sospensione:
dell’art. 6 – nella sua
interezza – del Decreto del Ministro della Giustizia del 4.08.2014 n.
139, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 221 del 23.09.2014, che ha
inserito l’art. 14-bis nel Decreto del Ministro della Giustizia del
18.10.2010 n. 180;
– ovvero, in via
subordinata, dell’art. 6 del decreto del Ministro della Giustizia del
4.8.2014 n. 139 nella parte in cui dispone che “1. Il mediatore non può
essere parte ovvero rappresentare o in ogni modo assistere parti in
procedure di mediazione dinanzi all’organismo presso cui è iscritto o
relativamente al quale è socio o riveste una carica a qualsiasi titolo;
il divieto si estende ai professionisti soci, associati ovvero che
esercitino la professione negli stessi locali” (art. 14-bis, comma 1,
Decreto del Ministro della Giustizia del 18.10.2010 n. 180);
– ovvero, in via
ulteriormente subordinata, dell’art. 6 del Decreto del Ministro della
Giustizia del 04.08.2014 n. 139 nella parte in cui dispone che “1…il
divieto si estende ai professionisti soci, associati ovvero che
esercitino la professione negli stessi locali” (art. 14-bis, comma 1,
Decreto del Ministro della Giustizia del 18.10.2010 n. 180);
– di ogni altro
provvedimento presupposto, connesso e/o consequenziale ancorchè non
conosciuto dai ricorrenti, ove lesivo, con riserva di motivi aggiunti;
2) quanto ai motivi aggiunti:
– della Circolare 14
luglio 2015 – Avente ad oggetto “incompatibilità e conflitti di
interesse mediatore e avvocato” emanata dal Dipartimento per gli affari
di giustizia – Ufficio III – Reparto mediazione a firma del Direttore
Generale della giustizia civile dott. Marco Mancinetti;
– di ogni altro provvedimento presupposto, connesso e/o consequenziale.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia, con la relativa documentazione;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza
pubblica del 9 marzo 2016 il dott. Ivo Correale e uditi per le parti i
difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso a questo
Tribunale, ritualmente notificato e depositato, i soggetti in epigrafe,
avvocati mediatori ovvero associazioni forensi operanti nel campo della
mediazione, chiedevano l’annullamento, previe misure cautelari,
nell’ordine indicato in epigrafe, dell’art. 6 del d.m. Giustizia (di
concerto con Sviluppo Economico) n. 139 del 4 agosto 2014, laddove
introduceva l’art. 14 bis al previgente d.m. n. 180/2010.
In particolare i
ricorrenti, riportando in sintesi i punti salienti della normativa sulla
mediazione, di cui all’art. 60 l. n. 69/2009 e al d. lgs. 4 marzo 2010,
n. 28, lamentavano, in sintesi, quanto segue.
“I. Violazione
dell’art. 3 c.1 e 2 e dell’art. 16 c.2 e 5, D.lgs. 28/2010. Eccesso di
potere per carenza di potere. Incompetenza.”
I ricorrenti evidenziavano
che la normativa primaria di cui all’art. 16, commi 2 e 5, d.lgs. n.
28/2010 delimitava in maniera chiara e specifica gli “spazi di manovra”
lasciati alla decretazione ministeriale, di natura regolamentare e,
quindi, di rango secondario e subordinato. In tali spazi non vi era
alcuna traccia del tema dell’incompatibilità e/o del conflitto di
interessi del soggetto che assiste la parte nel procedimento di
mediazione ovvero dell’imparzialità del mediatore stesso. Ciò era
confermato, d’altronde, dall’intestazione stessa del Regolamento in
questione che faceva riferimento specifico alla delega di cui all’art.
16 cit. esclusivamente in ordine alla determinazione dei criteri e delle
modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di
mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione nonché
all’approvazione delle indennità spettanti agli organismi medesimi.
Prima della modifica
regolamentare come impugnata in questa sede, infatti, il decreto
ministeriale si limitava, in materia di imparzialità e di indipendenza
del mediatore, a stabilire che il procedimento di mediazione non poteva
avere inizio prima della sottoscrizione della dichiarazione di
imparzialità da parte del mediatore e a individuare gli organi
competenti a vigilare sulla imparzialità stessa (rispettivamente: artt.
7, comma 5, lett. a) e art. 4, comma 2, lett. e).
Invece, con la impugnata
disposizione, il Governo aveva dato luogo a “straripamento di potere”,
dato che lo stesso “decreto delegato” n. 28/2010 aveva provveduto ad
attenersi alle indicazioni della “legge delega” in ordine alle garanzie
di imparzialità del procedimento di mediazione e aveva dato luogo, sul
punto, ad una riserva di regolamento in favore dei singoli Organismi di
mediazione, con un meccanismo perfettamente in linea con il sistema di
risoluzione alternativo delle controversie, principalmente basato sulla
centralità delle parti e sulla volontarietà delle scelte che le stesse
possono effettuare all’interno del procedimento in questione.
“II. Violazione di
legge per errata e/o falsa applicazione dell’art. 16 c. 4-bis D.lgs.
28/2010 e dell’art. 1 c.1 e 2 L. 31.12.2012, n. 247”.
I ricorrenti ricordavano
anche che era stata istituita con specifica disposizione di legge la
figura dell’”avvocato mediatore”. Ne derivava che la disciplina
riguardante tale specifica figura non poteva essere modificata o
integrata attraverso un decreto ministeriale e ciò sia perché era
necessaria allo scopo una fonte di pari rango primario sia perché la
disciplina della professione forense è riservata alla l. n. 247/2012, di
cui era riportato il comma 2 dell’articolo 1.
III. Violazione degli
artt. 3 e 41 Cost., lesione dei principi di parità di trattamento, di
libertà dell’iniziativa economica e di concorrenza. Violazione dell’art.
4 della Direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del
21 maggio 2008. Eccesso di potere per irragionevolezza e disparità di
trattamento”.
Nella parte in cui
affermava che il mediatore non poteva essere parte ovvero rappresentare o
in ogni modo assistere parti in procedure di mediazione dinanzi
all’organismo presso cui era iscritto o relativamente al quale era socio
o rivestiva una carica a qualsiasi titolo, estendendo il divieto ai
professionisti soci, associati ovvero che esercitassero la professione
negli stessi locali, il regolamento impugnato violava apertamente i
principi costituzionali dell’autonomia dell’iniziativa economica e della
parità di trattamento, arrecando alla categoria degli avvocati un
pregiudizio di gran lunga maggiore rispetto agli altri professionisti
esercitanti anche la mediazione.
Infatti, in seguito alle
novità introdotte in tema di mediazione dal d.l. n. 69/2013, conv. in l.
n. 98/2013, in specifiche materie l’attivazione del procedimento di
mediazione costituiva condizione di procedibilità dell’eventuale
successiva azione giudiziale e le parti dovevano essere
obbligatoriamente assistite da un avvocato. I ricorrenti però
ricordavano che anche negli altri casi ove la mediazione rivestiva
carattere facoltativo l’assistenza dell’avvocato era resa pressoché
indispensabile, in ragione della previsione normativa di cui all’art.
12, comma 1, d.lgs. n. 28/2010 che attribuisce efficacia di titolo
esecutivo esclusivamente all’accordo sottoscritto dalle parti assistite
da un avvocato e conferisce a quest’ultimo il potere di attestare e
certificare la conformità dell’accordo alle norme imperative e
all’ordine pubblico. Era evidente dunque che in alcuni casi le parti
siano costrette a rivolgersi a un avvocato, piuttosto che ad altri
professionisti, per la tutela dei propri diritti, anche ai sensi
dell’art. 2, comma 6, l.n. 247/12.
Inoltre, il pregiudizio si
estendeva anche agli Organismi di mediazione i quali, a causa
dell’irragionevole regime di incompatibilità come introdotto, vedono e
vedranno ridurre in misura esponenziale il numero dei mediatori
iscritti, escludendosi principalmente gli avvocati in virtù di tale
introduzione e ciò soprattutto riguardo gli Organismi di mediazione di
natura forense.
“IV. Violazione del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. Eccesso di potere per irragionevolezza manifesta e illogicità”.
L’introduzione di cui al
decreto ministeriale impugnato, secondo i ricorrenti, violava anche il
diritto di difesa come costituzionalmente garantito in quanto impediva
al soggetto che voleva tutelare un proprio diritto di rivolgersi al
proprio professionista di fiducia per il solo fatto che questo faccia
parte dell’organismo di mediazione deputato a mediare tra le parti o
addirittura che sia semplicemente socio o associato o “coinquilino” di
un professionista iscritto allo specifico organismo di mediazione.
Se l’assistenza
stragiudiziale, ai sensi dell’art. 2, comma 6, l. n. 247/12 cit., era di
competenza esclusiva degli avvocati ove connessa all’attività
giurisdizionale, non si comprendeva, al riguardo, perché nell’ipotesi di
assistenza nella mediazione la scelta del professionista non poteva più
essere liberamente lasciata alla parte ma doveva risentire delle
incompatibilità introdotte, vanificando in tal modo anche le particolari
competenze nel settore della risoluzione stragiudiziale delle
controversie che ciascun avvocato-mediatore poteva vantare nel corso del
tempo e obbligando, addirittura, a cambiare in corso di causa il
proprio avvocato qualora questi risulti iscritto nell’Organismo di
mediazione adìto. In tal modo sarebbe stato facile per una delle parti
avanzare volontaria istanza di mediazione presso un determinato
Organismo cui risultava iscritto un avvocato di controparte non gradito,
al solo fine di costringere la parte a dover cambiare il legale di
fiducia, anche in corso di giudizio.
“V. Violazione di legge
per errata applicazione degli artt. 3, 14 e16 D.lgs. 28/2010 e degli
artt. 4 e 7 D.M. 180/2010. Eccesso di potere per irragionevolezza,
illogicità manifesta, travisamento dei presupposti di fatto, violazione
del principio di proporzionalità.”
Il sacrificio dei
richiamati diritti costituzionali appariva per i ricorrenti ancor più
irragionevole se si considerava che già esisteva un rigoroso regime di
incompatibilità dell’avvocato-mediatore disciplinato dall’art. 62
dell’attuale codice deontologico forense (già art. 55), di cui era
riportato il contenuto.
Oltre a ciò, come già
ricordato in precedenza, lo stesso art. 3, commi 1 e 2, d.lgs. n. 28/10
cit. prevedeva che al procedimento di mediazione si applicava il
regolamento dell’organismo scelto dalle parti e che tale regolamento
doveva garantire in ogni caso la riservatezza del procedimento nonché
modalità di nomina del mediatore che assicurassero l’imparzialità e
l’idoneità al corretto sollecito espletamento dell’incarico. Tale
disposizione evidenziava la volontà del legislatore di limitare al
minimo l’intervento statale nella scelta della procedura da applicare
all’attività di mediazione ponendo come unico limite la potestà
regolamentare degli Organismi di mediazione, orientata comunque ad
assicurare imparzialità e idoneità del mediatore rispetto al singolo
affare, fermo restando che esistevano nell’ordinamento altre
disposizioni, di cui anche al medesimo D.M. n. 180/2010, che
assicuravano l’imparzialità e la neutralità del mediatore rispetto alle
parti.
“VI. Eccesso di potere per irragionevolezza e illogicità, disparità di trattamento, travisamento dei presupposti di fatto”.
I ricorrenti osservavano
che, pur essendo la mediazione un procedimento volontario, semplice e
informale, finalizzato a superare un conflitto tra due o più parti con
l’aiuto di un soggetto terzo, con le impugnate disposizioni si era
introdotto un regime di incompatibilità ancor più rigido rispetto a
quello previsto nell’arbitrato, istituto ben diverso da quello della
mediazione e certamente meno informale e non preposto al raggiungimento
di un accordo amichevole.
Infatti il codice di
procedura civile prevede che l’arbitro possa essere ricusato solo se la
relativa istanza è proposta al medesimo soggetto ed entro un termine
perentorio mentre, nel caso di specie, le introdotte incompatibilità
operano indipendentemente dalla volontà delle parti.
La disposizione
contestata, inoltre, era ancor più irragionevole in quanto il
professionista iscritto ad un Organismo di mediazione non partecipa in
alcun modo degli utili economici dello stesso né ricava alcun tipo di
vantaggio e/o interesse legato all’appartenenza allo specifico
Organismo.
Il sistema delineato dal
decreto ministeriale impugnato, in sostanza, costringeva alcuni
professionisti che esercitavano l’attività di avvocato-mediatore a
dimettersi dagli organismi di mediazione del contesto territoriale in
cui operavano e ciò era ancor più grave particolarmente laddove, in un
determinato circondario di Tribunale, vi erano pochi o unici Organismi
di tal genere.
In prossimità della camera
di consiglio si costituiva in giudizio il Ministero della Giustizia,
illustrando in una specifica memoria i motivi che secondo la sua
ricostruzione dovevano portare alla reiezione della domanda cautelare e
del ricorso. Anche i ricorrenti, dal canto loro, depositavano una breve
memoria per la camera di consiglio a sostanziale confutazione delle tesi
della difesa erariale.
Rinviata al merito la
trattazione della domanda cautelare, in prossimità alla pubblica udienza
del 7 ottobre 2015 era disposto un rinvio al fine di consentire la
trattazione congiunta con altri ricorsi dal medesimo contenuto e anche
al fine di proposizione di motivi aggiunti.
I ricorrenti provvedevano
in tal senso con atto ritualmente notificato e depositato con cui
chiedevano anche l’annullamento della Circolare del Ministero della
Giustizia del 14 luglio 2015 nel frattempo emanata, avente ad oggetto
“Incompatibilità e conflitti di interesse mediatore e avvocato”.
Ricordando i presupposti
del contenzioso presente davanti a questo Tribunale, i ricorrenti
lamentavano ulteriormente quanto segue.
“Vizi direttamente riconducibili all’atto impugnato
Incompetenza assoluta.
Violazione di legge per mancata e/o errata applicazione dell’art. 4 del
DPR 06.03.2001 n. 55, comma 2 lettera a). Violazione di legge per
violazione della L. 400/88. Eccesso di potere per sviamento,
irragionevolezza, arbitrarietà dell’azione amministrativa e ingiustizia
manifesta”.
Il Direttore generale
della Giustizia civile – Dipartimento per gli affari di giustizia –
Ufficio III – Reparto mediazione firmatario della Circolare in questione
non aveva i poteri per dare disposizioni nell’ambito in questione, in
quanto con questa erano state introdotte delle effettive disposizioni
“normative”, classificando la questione delle incompatibilità come
diritto indisponibile, che esulavano dalle funzioni riconducibili al
ruolo rivestito dal suddetto Direttore generale, il cui ambito di
operatività nell’emanare circolari è legato a questioni meramente
interpretative ovvero applicative relative ad atti legislativi o
regolamentari.
I ricorrenti, poi,
riproponevano le medesime censure di cui al ricorso introduttivo
evidenziando in tal modo l’illegittimità “derivata” dell’impugnata
Circolare.
In prossimità della nuova
udienza pubblica del 9 marzo 2016 le parti costituite depositavano
ulteriori memorie (l’Avvocatura erariale qualificandola “di replica”) a
sostegno delle rispettive tesi e la causa in tale data era trattenuta in
decisione.
DIRITTO
Il Collegio, al fine di
decidere sul contenzioso in esame, ritiene opportuno sintetizzare i
fondamenti normativi che ne sono alla base.
In particolare, si evidenzia che l’art. 60 della “legge- delega” 18.6.2009, n. 69 prevedeva, al comma 1, che “Il
Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in
vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi in materia
di mediazione e di conciliazione in ambito civile e commerciale”. I
principi che l’Esecutivo era richiamato ad osservare erano indicati nel
comma 2, di cui si riportano i profili rilevanti in questa sede: “Nell’esercizio
della delega di cui al comma 1, il Governo si attiene ai seguenti
princìpi e criteri direttivi: a) prevedere che la mediazione,
finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto controversie su
diritti disponibili, senza precludere l’accesso alla giustizia; b)
prevedere che la mediazione sia svolta da organismi professionali e
indipendenti, stabilmente destinati all’erogazione del servizio di
conciliazione; c) disciplinare la mediazione, nel rispetto della
normativa comunitaria, anche attraverso l’estensione delle
disposizioni di cui al decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, e in
ogni caso attraverso l’istituzione, presso il Ministero della giustizia,
senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, di un Registro
degli organismi di conciliazione, di seguito denominato «Registro»,
vigilati dal medesimo Ministero… d) prevedere che i requisiti per
l’iscrizione nel Registro e per la sua conservazione siano stabiliti con
decreto del Ministro della giustizia;… f) prevedere che gli organismi
di conciliazione istituiti presso i tribunali siano iscritti di diritto
nel Registro; g) prevedere, per le controversie in particolari materie,
la facoltà di istituire organismi di conciliazione
presso i consigli degli
ordini professionali; h) prevedere che gli organismi di conciliazione
di cui alla lettera g) siano iscritti di diritto nel Registro;… r)
prevedere, nel rispetto del codice deontologico, un regime di
incompatibilità tale da garantire la neutralità, l’indipendenza e
l’imparzialità del conciliatore nello svolgimento delle sue funzioni;…”.
Già in questa prima
lettura, il Collegio rileva che il legislatore “delegante” ha voluto
chiarire alcuni “punti cardine” da seguire, principalmente orientati a
riconoscere che la mediazione era limitata ai diritti disponibili, che
gli “organismi di conciliazione”, e non i singoli mediatori, erano i
soggetti destinatari del compito di dare luogo alla “mediazione” come
congegnata, riconoscendo per quelli istituiti presso i Tribunali alcune
facilitazioni, che gli organismi stessi erano “vigilati” dal Ministero
della Giustizia, che assumeva rilievo il rispetto del “codice
deontologico” al fine di garantire la neutralità, indipendenza e
imparzialità del singolo conciliatore nello svolgimento delle sue
funzioni.
Come noto, il Governo
provvedeva mediante il decreto legislativo 4.3.2010, n. 28. Anche qui,
si riportano le disposizioni salienti per il presente contenzioso, che
il Collegio ritiene di individuare.
In primo luogo, si richiama l’art. 3, commi 1 e 2, secondo il quale “1.
Al procedimento di mediazione si applica il regolamento dell’organismo
scelto dalle parti. 2. Il regolamento deve in ogni caso garantire la
riservatezza del procedimento ai sensi dell’articolo 9, nonché modalità
di nomina del mediatore che ne assicurano l’imparzialità e l’idoneità al
corretto e sollecito espletamento dell’incarico”.
Il Collegio non può
esimersi dall’osservare che il regolamento dell’organismo scelto dalle
parti assume un ruolo centrale nell’assetto della procedura e ciò appare
del tutto in linea con la volontà del legislatore “delegante” di dare
rilievo alla struttura di mediazione in sé considerata più che ai
singoli componenti. Il legislatore, infatti, prevede che sia il
regolamento stesso, quindi, ad assumere (anche) la funzione di
individuare modalità di nomina del (singolo) mediatore che ne assicurino
la sostanziale indipendenza e terzietà, come è giusto che sia incidendo
tale attività comunque su situazioni soggettive delle parti in
posizioni di parità e in virtù anche dell’obbligo di comunicazione
sull’esistenza (ed eventuale obbligatorietà ex art. 5 d.lgs. cit.) di
tale procedura che incombe sull’avvocato al momento del conferimento di
un incarico professionale, di cui all’art. 4, comma 3, d.lgs. cit.
La “centralità”
riconosciuta all’organismo è rafforzata dalla previsione dell’art. 8
d.lgs. cit. (come modificato dal d.l. n. 69/2013, conv. in l. n.
98/2013), secondo la quale è il responsabile dell’organismo a designare
un mediatore e fissare un primo incontro tra le parti e non sono le
parti a “scegliersi” il singolo mediatore (a differenza di quel che
accade, ad esempio, per l’arbitrato).
Il legislatore “delegato”, poi, direttamente si occupa di precisare, agli artt. 9 e 10 d.lgs. cit., che: ”
Chiunque presta la propria opera o il proprio servizio nell’organismo o
comunque nell’ambito del procedimento di mediazione è tenuto
all’obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle
informazioni acquisite durante il procedimento medesimo. Rispetto alle
dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite nel corso delle
sessioni separate e salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale
provengono le informazioni, il mediatore è altresì tenuto alla
riservatezza nei confronti delle altre parti.” (art. 9); “Le
dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del
procedimento di mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio
avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassunto o
proseguito dopo l’insuccesso della mediazione, salvo consenso della
parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni. Sul
contenuto delle stesse dichiarazioni e informazioni non è ammessa prova
testimoniale e non può essere deferito giuramento decisorio. Il
mediatore non può essere tenuto a deporre sul contenuto delle
dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nel procedimento di
mediazione, né davanti all’autorità giudiziaria né davanti ad altra
autorità. Al mediatore si applicano le disposizioni dell’articolo 200
del codice di procedura penale e si estendono le garanzie previste per
il difensore dalle disposizioni dell’articolo 103 del codice di
procedura penale in quanto applicabili.” (art. 10).
Il medesimo legislatore, poi, prevede direttamente, all’art. 14 d.lgs. cit., che “Al
mediatore e ai suoi ausiliari è fatto divieto di assumere diritti o
obblighi connessi, direttamente o indirettamente, con gli affari
trattati, fatta eccezione per quelli strettamente inerenti alla
prestazione dell’opera o del servizio; è fatto loro divieto di percepire
compensi direttamente dalle parti. 2. Al mediatore è fatto, altresì,
obbligo di: a) sottoscrivere, per ciascun affare per il quale è
designato, una dichiarazione di imparzialità secondo le formule previste
dal regolamento di procedura applicabile, nonché gli ulteriori impegni
eventualmente previsti dal medesimo regolamento; b) informare
immediatamente l’organismo e le parti delle ragioni di possibile
pregiudizio all’imparzialità nello svolgimento della mediazione…”.
Come visto, quindi, il
legislatore ha considerato le modalità idonee a garantire l’imparzialità
e terzietà del mediatore, facendo rinvio alla relativa regolamentazione
ad opera del singolo organismo di mediazione – a sua volta vigilato dal
Ministero della Giustizia – e alla dichiarazione di impegno alla sua
osservanza che ogni mediatore dove sottoscrivere per ciascun affare.
Non vi è spazio in materia
per una decretazione ministeriale, se non per quanto previsto dall’art.
16, comma 2, d.lgs. cit., secondo il quale: “La formazione del
registro e la sua revisione, l’iscrizione, la sospensione e la
cancellazione degli iscritti, l’istituzione di separate sezioni del
registro per la trattazione degli affari che richiedono specifiche
competenze anche in materia di consumo e internazionali, nonché la
determinazione delle indennità spettanti agli organismi sono
disciplinati con appositi decreti del Ministro della giustizia, di
concerto, relativamente alla materia del consumo, con il Ministro dello
sviluppo economico. Fino all’adozione di tali decreti si applicano, in
quanto compatibili, le disposizioni dei decreti del Ministro della
giustizia 23 luglio 2004, n. 222 e 23 luglio 2004, n. 223…”. Il successivo comma 3 prevede poi che: “L’organismo,
unitamente alla domanda di iscrizione nel registro, deposita presso il
Ministero della giustizia il proprio regolamento di procedura e il
codice etico, comunicando ogni successiva variazione. Nel regolamento
devono essere previste, fermo quanto stabilito dal presente decreto, le
procedure telematiche eventualmente utilizzate dall’organismo, in modo
da garantire la sicurezza delle comunicazioni e il rispetto della
riservatezza dei dati. Al regolamento devono essere allegate le tabelle
delle indennità spettanti agli organismi costituiti da enti privati,
proposte per l’approvazione a norma dell’articolo 17. Ai fini
dell’iscrizione nel registro il Ministero della giustizia valuta
l’idoneità del regolamento.”.
Anche sotto questo profilo
il Collegio non può che ribadire come sia rinvigorita dalla norma la
centralità riconosciuta al regolamento di procedura dell’organismo di
mediazione e al relativo “codice etico”, a loro volta valutabili
dall’organo vigilante sin dal momento della richiesta di iscrizione
nell’apposito registro. Spazio per la decretazione ministeriale è
riconosciuto a tale proposito solo per i profili sopra riportati, di cui
all’art. 16, comma 2, prima parte, e tra questi non si nota alcun
riferimento al tema della incompatibilità di alcun genere, nei confronti
dei singoli mediatori.
Lo stesso art. 16, inoltre, afferma, ai commi 4 e 4 bis, che “La
vigilanza sul registro è esercitata dal Ministero della giustizia e,
con riferimento alla sezione per la trattazione degli affari in materia
di consumo di cui al comma 2, anche dal Ministero dello sviluppo
economico. Gli avvocati iscritti all’albo sono di diritto mediatori. Gli
avvocati iscritti ad organismi di mediazione devono essere
adeguatamente formati in materia di mediazione e mantenere la propria
preparazione con percorsi di aggiornamento teorico-pratici a ciò
finalizzati, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 55-bis del
codice deontologico forense…”
Particolare attenzione è
poi riconosciuta dal legislatore “delegato” agli organismi presso i
Tribunali e agli organismi presso i consigli degli ordini professionali e
presso le camere di commercio, ai sensi degli artt. 18 e 19 d.lgs.
cit., di cui è riconosciuta la possibilità di iscrizione diretta al
registro, a semplice domanda.
In sostanza, ne emerge un
quadro per il Collegio dotato di evidente chiarezza, da cui si evince
che in materia di garanzie di imparzialità è demandato a provvedere con
il proprio codice etico lo stesso organismo di mediazione, soggetto su
cui è centrata l’attenzione al fine di regolamentare l’intera procedura,
sul quale comunque esercita, in ogni momento, la sua vigilanza il
Ministero della Giustizia. Spazi ulteriori per una regolamentazione di
rango secondario diretto, ai sensi dell’art. 17, comma 3, l. n. 400/88,
non se ne riscontrano, limitandosi il richiamo a tale forma di
decretazione a modalità di formazione e tenuta del registro, ai sensi
del richiamato art. 16 d.lgs. n. 28/2010.
Infatti, nella stesura
originaria del d.m. Giustizia n. 180/2010 che in tal senso provvede, non
vi era alcun cenno alle incompatibilità del singolo mediatore, recando
lo stesso l’intestazione “Regolamento recante la determinazione dei
criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli
organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione,
nonché l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi
dell’ articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28”.
Lo stesso art. 2 del d.m. in questione – rubricato “Oggetto” – precisa infatti che esso disciplina: “a)
l’istituzione del registro presso il Ministero; b) i criteri e le
modalità di iscrizione nel registro, nonché la vigilanza, il
monitoraggio, la sospensione e la cancellazione dei singoli organismi
dal registro; c) l’istituzione dell’elenco presso il Ministero; d) i
criteri e le modalità di iscrizione nell’elenco, nonché la vigilanza, il
monitoraggio, la sospensione e la cancellazione degli enti di
formazione dall’elenco; e) l’ammontare minimo e massimo e il criterio di
calcolo delle indennità spettanti agli organismi costituiti da enti
pubblici di diritto interno, nonché i criteri per l’approvazione delle
tabelle delle indennità proposte dagli organismi costituiti dagli enti
privati.”
Confermando che è
l’organismo di mediazione ad assumere rilievo a tali fini e che il
regolamento è previsto solo ai riportati fini, gli articoli seguenti non
esulano da tali confini, provvedendo a introdurre nell’ordinamento la
richiesta normativa secondaria relativa a quanto sopra riportato
all’art. 2.
Ai fini dell’iscrizione
nel registro, e solo a questi, è previsto, all’art. 4, comma 2, lett.
e), d.m. cit., che il responsabile della tenuta del registro e degli
elenchi (come definito nell’art. 1) avrebbe verificato, tra altro, “…le
garanzie di indipendenza, imparzialità e riservatezza nello svolgimento
del servizio di mediazione, nonché la conformità del regolamento alla
legge e al presente decreto, anche per quanto attiene al rapporto
giuridico con i mediatori”. Nuovamente, quindi, si ribadisce che il
requisito di indipendenza debba essere garantito dall’organismo stesso
attraverso il suo regolamento.
Ciò è ancor più chiaramente evidenziato nell’art. 7, comma 3, secondo cui: “Il
regolamento stabilisce le cause di incompatibilità allo svolgimento
dell’incarico da parte del mediatore e disciplina le conseguenze sui
procedimenti in corso della sospensione o della cancellazione
dell’organismo dal registro ai sensi dell’articolo 10”.
Il successivo comma 5 precisa inoltre che: “Il regolamento deve, in ogni caso, prevedere: a)
che il procedimento di mediazione può avere inizio solo dopo la
sottoscrizione da parte del mediatore designato della dichiarazione di
imparzialità di cui all’ articolo 14 , comma 2, lettera a), del decreto
legislativo…”.
L’imparzialità e terzietà
del mediatore, quindi, sono ritenute necessarie ma legate alla
dichiarazione del singolo secondo l’imposizione del regolamento
dell’organismo, a pena di procedibilità, e in relazione a quanto già
previsto dalla normativa primaria in tal senso.
In tale contesto stride,
quindi, la disposizione contestata nella presente sede, di cui all’art.
14 bis, come introdotto dall’art. 6, comma 1, d.m. 4.8.2014, n. 139, che
si occupa direttamente dell’incompatibilità e dei conflitti di
interesse del singolo mediatore, affermando che: “Il mediatore non
può essere parte ovvero rappresentare o in ogni modo assistere parti in
procedure di mediazione dinanzi all’organismo presso cui è iscritto o
relativamente al quale è socio o riveste una carica a qualsiasi titolo;
il divieto si estende ai professionisti soci, associati ovvero che
esercitino la professione negli stessi locali. Non può assumere la
funzione di mediatore colui il quale ha in corso ovvero ha avuto negli
ultimi due anni rapporti professionali con una delle parti, o quando una
delle parti è assistita o è stata assistita negli ultimi due anni da
professionista di lui socio o con lui associato ovvero che ha esercitato
la professione negli stessi locali; in ogni caso costituisce condizione
ostativa all’assunzione dell’incarico di mediatore la ricorrenza di una
delle ipotesi di cui all’articolo 815, primo comma, numeri da 2 a 6,
del codice di procedura civile. Chi ha svolto l’incarico di mediatore
non può intrattenere rapporti professionali con una delle parti se non
sono decorsi almeno due anni dalla definizione del procedimento. Il
divieto si estende ai professionisti soci, associati ovvero che
esercitano negli stessi locali.”.
Sotto tale profilo appare
condivisibile la censura dei ricorrenti di cui al primo motivo di
ricorso, in quanto la normativa primaria non ha riservato alla
decretazione regolamentare ministeriale alcun margine per intervenire
sui temi dell’incompatibilità e del conflitto di interessi del singolo
mediatore, al fine poi di estenderli anche a soci, associati e
professionisti esercenti attività professionale nei medesimi locali.
Per giungere a tale conclusione non appare al Collegio necessario soffermarsi oltremodo.
Sotto il profilo, formale, basti richiamare l’art. 17, comma 3, l. n. 400/1988, secondo il quale “Con
decreto ministeriale possono essere adottati regolamenti nelle materie
di competenza del ministro o di autorità sottordinate al ministro,
quando la legge espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti,
per materie di competenza di più ministri, possono essere adottati con
decreti interministeriali, ferma restando la necessità di apposita
autorizzazione da parte della legge…”
Sul punto è stato già
chiarito che, almeno per quel che riguarda i “regolamenti” di cui al
richiamato art. 17, comma 3, l. cit., è sempre necessaria un’espressa
previsione di legge che legittimi l’attuazione, e quindi l’estensione,
della potestà regolamentare in questione (per tutte: Cons. Stato, Sez.
III, 25.5.11, n. 3144). Nel caso di specie tale espressa previsione di
legge è assente.
Sotto il profilo
sostanziale, non può farsi a meno di ricordare che lo stesso Consiglio
di Stato, in sede di pronuncia del necessario parere sul testo del d.m.
impugnato, aveva chiaramente espresso la riserva in ordine alla
collocazione dei commi 1 e 3 dell’art. 14 bis del testo al suo esame, “…trattandosi
di questione che può presentare interconnessioni con l’ordinamento
forense, come tale necessitante – semmai – di apposita previsione in
altra iniziativa normativa”.
Tali ultime osservazioni –
ad avviso del Collegio – rimarcano anche la fondatezza di quanto
lamentato dai ricorrenti con il secondo motivo di ricorso.
Si evidenzia, infatti, che
l’art. 84, comma 1, lett. o), d.l. n. 69/13, conv. in l. n. 98/13, ha
inserito nel testo dell’art. 16 del d.lgs. n. 20/2010 il comma 4 bis,
secondo il quale “Gli avvocati iscritti all’albo sono di diritto mediatori”.
Il richiamo alla qualifica
assunta “di diritto”, secondo la norma primaria come innovata, ad
avviso del Collegio evidenzia la peculiarità della figura
dell’avvocato-mediatore, che dà luogo ad una inscindibilità di posizione
laddove un avvocato scelga di dedicarsi (anche) alla mediazione.
Ne consegue che il decreto
ministeriale in esame non ha tenuto conto della peculiare disciplina
che regola la professione forense, di cui alla l. 31.12.2012, n. 247 e
allo specifico codice deontologico vigente, pubblicato sulla G.U. del
16.10.2014, il cui art. 62 prevede esplicitamente la regolamentazione
della funzione di mediatore per colui che è avvocato.
In merito, infatti, si evidenzia che l’art. 3, commi 3 e 4, l. n. 247/12 cit. prevede che “L’avvocato
esercita la professione uniformandosi ai principi contenuti nel codice
deontologico emanato dal CNF ai sensi degli articoli 35, comma 1,
lettera d), e 65, comma 5. Il codice deontologico stabilisce le norme di
comportamento che l’avvocato è tenuto ad osservare in via generale e,
specificamente, nei suoi rapporti con il cliente, con la controparte,
con altri avvocati e con altri professionisti. Il codice deontologico
espressamente individua fra le norme in esso contenute quelle che,
rispondendo alla tutela di un pubblico interesse al corretto esercizio
della professione, hanno rilevanza disciplinare. Tali norme, per quanto
possibile, devono essere caratterizzate dall’osservanza del principio
della tipizzazione della condotta e devono contenere l’espressa
indicazione della sanzione applicabile. 4. Il codice deontologico di cui
al comma 3 e i suoi aggiornamenti sono pubblicati e resi accessibili a
chiunque…”.
Il Collegio ritiene che se
il legislatore, con norma primaria (art. 16, comma 4 bis, d.lgs. n.
28/2010), ha ritenuto di individuare la sola figura dell’avvocato quale
mediatore “di diritto”, ne consegue che, vista l’inscindibilità tra le
due qualifiche, doveva considerarsi la vigenza e immediata applicabilità
dell’altra normativa primaria che già si occupava di regolare le
funzioni di mediatore, sia pure attraverso il richiamo “mobile” al
contenuto del codice deontologico.
Con l’introduzione
dell’esteso e generalizzato regime di incompatibilità di cui all’art. 14
bis d.m. n. 139/14, peraltro – come visto – senza specifica “copertura
legislativa”, si è invece dato luogo ad una commistione di
incompatibilità e conflitti di interessi cui devono sottostare gli
“avvocati-mediatori” che non aveva ragione di essere e che meritava,
eventualmente, pari sede legislativa primaria, come d’altronde subito
osservato dal Consiglio di Stato.
In sostanza, il Collegio
osserva che poteva in ipotesi darsi luogo a una sola alternativa: o la
disciplina regolamentare generale riguardante (tutti) i mediatori –
ferma restando l’osservazione sulla carenza di delega legislativa –
faceva salve le disposizioni già adottate per coloro che erano ritenuti
da fonte primaria mediatori “di diritto” (vale a dire gli avvocati)
ovvero doveva darsi luogo ad una iniziativa legislativa di pari rango
primario, qualora le vigenti disposizioni di cui all’art. 62 del Codice
deontologico non fossero state ritenute valide e condivisibili alla luce
di esperienze maturate nel frattempo. Tali ipotesi alternative sono
state entrambe disattese e, per tale ragione, il ricorso si palesa
fondato anche sotto tale ulteriore profilo.
Da ultimo, per mero
tuziorismo, il Collegio osserva che la decretazione ministeriale non
pare che abbia colto appieno l’estrema, variegata composizione degli
studi legali professionali sparsi sul territorio e il rapporto numerico
con gli organismi di mediazione in ciascun distretto di Tribunale.
Non pare essersi tenuto
conto, vale a dire, che in alcune parti del territorio nazionale, in
special modo nelle città metropolitane, l’organizzazione professionale
pare andare verso una composizione orientata su studi professionali
“complessi”, spesso interdisciplinari, e con un numero sostanzioso di
organismi di mediazione sul territorio, così che non pare irreversibile
sulla scelta di effettuare anche la mediazione il mutamento di un
organismo di appartenenza per il singolo legale. Vi sono però in altre
zone del territorio organizzazioni più “semplici” e capillari”, ove
l’avvocato, da solo e in locali da lui unicamente detenuti, esercita sia
in campo penale che civile che tributario e/o amministrativo, con uno e
massimo due organismi di mediazione di riferimento, così che le
disposizioni di cui all’art. 14 bis in esame lo costringerebbero a
rinunciare inevitabilmente alla mediazione.
Così pure non trascurabili
sono le osservazioni secondo le quali ben potrebbe una parte scegliere
un organismo di mediazione specifico, ove è iscritto un legale di
fiducia di controparte, al solo fine di impedire l’assistenza
nell’affare. Ciò evidentemente stride con la libertà di scelta del
mediatore che è alla base della normativa dell’intero d.lgs. n. 28/2010.
Ebbene se non può
dimenticarsi che le caratteristiche del regolamento di cui all’art. 17
l. n 400/88 cit., secondo la giurisprudenza, esprimono una potestà
normativa “secondaria” attribuita all’Amministrazione al fine di
disciplinare, in astratto, tipi di rapporti giuridici mediante una
regolazione attuativa o integrativa della legge, ma ugualmente
innovativa rispetto all’ordinamento giuridico esistente, con precetti
che presentano appunto i caratteri della “generalità e
dell’astrattezza”, intesi essenzialmente come ripetibilità nel tempo
dell’applicazione delle norme e non determinabilità dei soggetti cui si
riferiscono (per tutte: Cons. Stato, Sez. VI, 18.2.15, n. 823), nel caso
di specie tale caratteristiche sembrano smarrite, in quanto la
generalità dell’applicazione dell’art. 14 bis va a collidere con la
determinabilità dei soggetti più considerati, che sembrano – stante
l’impostazione della norma regolamentare in questione – i soli
“avvocati-mediatori”. Anche sotto tale profilo, quindi, si palesa la
violazione dell’art. 17 cit.
A conclusione contraria non portano, poi, le tesi espresse nelle difese erariali.
Sostengono quest’ultime
che lo scopo dell’art. 14 bis cit. è quello di assicurare che l’attività
di mediazione sia svolta da un soggetto che offra garanzie di
indipendenza e terzietà.
Sul punto, però, non può
che richiamarsi nuovamente il contenuto dell’art. 3, comma 2, d.lgs. n.
28/2010 cit. che demanda al regolamento dell’organismo scelto dalle
parti – e non a regolamento ministeriale ex art. 17, comma 3, l. cit. –
la garanzia di nomina di un mediatore che assicuri imparzialità e
idoneità allo svolgimento dell’incarico. In merito basti osservare che
il Ministero della Giustizia, quale organo vigilante, dispone di tutti
gli strumenti per verificare il contenuto dei singoli regolamenti degli
organismi e chiederne l’eventuale modifica, soprattutto laddove si
rinvengano anomalie riguardo lo svolgimento dell’attività da parte di
“avvocati-mediatori”.
Sostiene la difesa
erariale, altresì, che l’impianto dell’art. 16 d. lgs. n. 28/2010
consentirebbe l’emanazione di “appositi decreti ministeriali”
concernenti la nomina e i requisiti che il mediatore deve possedere, tra
i quali quelli dell’imparzialità e terzietà.
In realtà, il Collegio
osserva che il comma 2 dell’art. 16 in questione non prevede
l’emanazione di appositi decreti ministeriali ma si limita – come già
sopra riportato – a prevedere che “La formazione del registro e la
sua revisione, l’iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli
iscritti, l’istituzione di separate sezioni del registro per la
trattazione degli affari che richiedono specifiche competenze anche in
materia di consumo e internazionali, nonché la determinazione delle
indennità spettanti agli organismi sono disciplinati con appositi
decreti del Ministro della giustizia, di concerto, relativamente alla
materia del consumo, con il Ministro dello sviluppo economico.”. Non
vi è dunque alcun accenno alla nomina e ai requisiti del mediatore.
Anzi, come pure sopra evidenziato, i successivi commi dell’art. 16
ribadiscono la vigilanza del Ministero della Giustizia e la qualità di
mediatori “di diritto” degli avvocati, con tutte le conseguenze, dirette
e indirette, sopra rappresentate, cui si rimanda. Ciò assume
connotazione logica secondo quanto riconosciuto dalle stesse difese
erariali, laddove richiamano l’art. 3 d.lgs. n. 28/2010 che, appunto,
rimette agli organismi di disciplinare con regolamento le modalità di
nomina del mediatore che ne garantiscano l’imparzialità e l’idoneità.
Non avrebbe alcun senso condivisibile, quindi, una previsione normativa
che dapprima demanda ai regolamenti degli organismi di occuparsi delle
modalità di nomina dei mediatori al fine di garantirne (anche)
l’imparzialità e poi demanda a decreto ministeriale la stessa materia.
Né si comprende poi in
cosa consista la differenza tra “imparzialità” e “incompatibilità e
conflitto di interessi”, che l’Avvocatura evidenzia, laddove la prima
non può che comprendere le altre due, costituendone presupposto.
Sostiene l’Amministrazione
che ad ulteriore dimostrazione della competenza del d.m. a disciplinare
la materia dell’incompatibilità dovrebbe leggersi la disposizione del
richiamato art. 16, comma 2, secondo la quale: “Fino all’adozione di
tali decreti si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dei
decreti del Ministro della giustizia 23 luglio 2004, n. 222 e 23 luglio
2004, n. 223…”.
Ebbene, la lettura di tali
decreti convince del contrario, in quanto l’art. 7 del d.m. n. 222/04,
occupandosi del regolamento di procedura, prevede(va) appunto che: “Il regolamento stabilisce le cause di incompatibilità allo svolgimento dell’incarico…” mentre il d.m. n. 223/04 si limitava ad occuparsi delle indennità.
Secondo la difesa erariale
il testo dell’art. 38 del d.lgs. n. 5 del 2003, che costituiva la base
normativa del d.m. n. 222 cit., aveva lo stesso contenuto dell’art. 16
d.lgs. n. 28/2010 e nessuno aveva mai dubitato della legittimità delle
ipotesi di incompatibilità previste da tale d.m.
Il Collegio non può che
osservare come il richiamato art. 38, ben più sintetico dell’art. 16
d.lgs. 28/2010, non conteneva alcuna delega alla potestà regolamentare
ministeriale in ordine all’individuazione di requisiti di imparzialità
del singolo mediatore – e quindi di incompatibilità e conflitto di
interessi – ma si limitava, al comma 2, a prevedere che: “Il Ministro
della giustizia determina i criteri e le modalità di iscrizione nel
registro di cui al comma 1, con regolamento da adottare ai sensi
dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro
novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Con
lo stesso decreto sono disciplinate altresì la formazione dell’elenco e
la sua revisione, l’iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli
iscritti…”.
E’ facile convenire che
“nessuno ha mai dubitato della legittimità delle ipotesi di
incompatibilità previste da tale DM”, ma perché in tale decreto non vi
erano regolate ipotesi di incompatibilità, come invece contenute
nell’art. 14 bis impugnato in questa sede, facendosi rimando sul punto
ai regolamenti dei singoli organismi.
Infine, che la norma
contestata sia rivolta a tutti i mediatori e non solo agli avvocati non
legittima la deroga ai limiti di cui all’art. 17, comma 3, l. n. 400/88
ma evidenzia, proprio per la sua generalità e astrattezza, l’illogicità
di conseguenze specifiche nei confronti della specifica categoria in
questione, qualificata da norma primaria mediatore “di diritto”, laddove
sussistono già le regolamentazioni dei singoli organismi di mediazione e
quella di cui all’art. 62 del codice deontologico, che comunque
l’avvocato è tenuto ad osservare.
Alla luce di quanto
illustrato, quindi, il ricorso deve trovare accoglimento per le
deduzioni di cui ai primi due motivi di ricorso, con assorbimento delle
altre censure, comportando l’accoglimento del gravame e comunque
l’espunzione dell’intero art. 14 bis dal testo del d.m. n. 180/2010.
La fondatezza del ricorso
introduttivo comporta, poi, anche l’annullamento dell’impugnata
circolare ministeriale di cui ai motivi aggiunti, per illegittimità
derivata.
Le spese di lite possono eccezionalmente compensarsi per la novità della fattispecie.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso e i motivi
aggiunti, come in epigrafe proposti, li accoglie e, per l’effetto,
annulla i provvedimenti impugnati.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 9 marzo 2016 con l’intervento dei magistrati:
Carmine Volpe, Presidente
Raffaello Sestini, Consigliere
Ivo Correale, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 01/04/2016
IL SEGRETARIO
|
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(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.) | ||