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mercoledì 20 giugno 2018

La condizione di procedibilità non è avverata se le parti, durante il primo incontro, si limitano ad esprimere la volontà di non partecipare al procedimento di mediazione.

La condizione di procedibilità non può ritenersi avverata  quando il verbale negativo del primo incontro si conclude con la presa d'atto da parte del mediatore della mancata volontà delle parti  di procedere con la mediazione.
Per il Tribunale di S. Maria Capua Vetere  nella persona del Giudice Dott.ssa Carla Bianco, non può ritenersi che alle parti sia consentito presenziare sic et simpliciter manifestando che non è loro reale intenzione addivenire a un accordo, restando ferme sulle rispettive posizioni e attendendo il verbale negativo grazie al quale poter-finalmente sfogare in giudizio le proprie pretese.


TRIBUNALE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE
ARTICOLAZIONE TERRITORIALE DI CASERTA
IV SEZIONE CIVILE
R.G. N. _____/17

VERBALE DELL’UDIENZA DEL 6 APRILE 2018
Alle ore 9.57 sono comparsi per la parte attrice l’avv. A. V. per delega dell’avv. A. N. e per il
convenuto l’avv. G. S. per delega dell’avv. P. N. Si dà atto che sono altresì presenti personalmente il
convenuto e il signor G. A. per gli attori.


L’avv. S. si riporta ai propri atti e evidenzia la pendenza di un procedimento pendente dinanzi alla dottoressa Mastroianni con il numero R.G. 11214/17, avente a oggetto sfratto per morosità dal locale attiguo a quello di cui si discute in questo procedimento e connesso in quanto il convenuto esercita la propria unitaria attività commerciale avvalendosi di entrambi gli immobili. Chiede perciò che la giudice voglia adottare gli opportuni provvedimenti pe la riunione dei procedimenti. Fa presente che è stata sanata la mora e che successivamente all’udienza di convalidai canoni sono stati sempre puntualmente adempiuti.

L’avv. V. evidenzia che il convenuto si è costituito tardivamente solo il 4 aprile 2018, percui tutte le eccezioni sollevate sono tardive; in ogni caso, evidenzia pure che la costituzione poi avvenuta in formato cartaceo e non in via telematica e trattandosi di atto endoprocedimentale (con riferimento alla memoria integrativa) il deposito cartaceo è nullo e dichiara di non accettare il contraddittorio.
Ribadisce quanto evidenziato nella memoria integrativa in ordine alle circostanze dei pagamenti
effettuati per “purgare” la mora, mancando gli adeguamenti e gli oneri condominiali, nonché la
quota di registrazione del contratto. Evidenzia che il convenuto ha sempre pagato in ritardo e dopo opportuni solleciti stragiudiziali, dunque l’inadempimento è grave.
 L’avv. Santillo esibisce le ricevute dei pagamenti degli oneri condominiali, chiedendone la produzione, al quale deposito l’avv. V. si oppone, ribadendo di non accettare il contraddittorio attesa la irrituale costituzione della controparte; contesta, comunque, quanto esposto dalla controparte medesima in quanto le quote indicate sono state corrisposte. La parte attrice chiede in ogni caso che la causa sia rinviata per la discussione con un termine per note, al quale il difensore del convenuto si associa.
La giudice, rappresentando fin d’ora alle parti che la mediazione non è stata svolta regolarmente e
che il contratto di locazione è stato registrato solo nel 2016 a fronte di una stipula risalente all’anno 2009, riserva di provvedere sulle istanze delle parti all’esito della camera di consiglio e alle ore 10.18 sospende la trattazione a autorizza i difensori ad allontanarsi.
Alle ore 16.53, in assenza delle parti, la giudice,
a) quanto alla costituzione del convenuto e all’aspetto della ammissibilità del deposito in forma
cartacea, osserva si tratta, con particolare riguardo agli atti introduttivi dei procedimenti, di una questione sulla quale com’è noto la giurisprudenza si divide tra l’opinione più rigorosa, che valuta come stringente la
disposizione di cui all’articolo 16 bis del D.L.vo n. 179/12 e ritiene quanto meno inammissibile — se non nullo o addirittura inesistente — l’atto non depositato con l’osservanza delle modalità
telematiche; e una posizione più elastica che sulla base di diverse argomentazioni, di volta in volta più o meno valorizzate, propende per la mera irregolarità del deposito dalla quale non discende
alcuna conseguenza in punto di instaurazione del procedimento e di ulteriori effetti.
Secondo la prima lettura [Tribunali di Foggia, 15 maggio 2015; Torino, 6 marzo 2015; Vasto, 15 aprile
2016; Locri, 20 ottobre 2016], l'inammissibilità dovrebbe discendere quale corollario dell'avverbio
«esclusivamente» adoperato dal legislatore e pur in assenza di alcuna sanzione espressa; i suoi
fautori ne evidenziano la coerenza rispetto «ai principi di certezza del diritto e di ragionevole durata
del processo che hanno ispirato la riforma del processo civile telematico, essendo il deposito
telematico funzionale ad un più rapido ed immediato accesso agli atti e documenti del processo, per
il giudice e le parti costituite».
La scelta di ritenere inammissibile l’atto depositato in forma diversa da quella esclusivamente
indicata è incompatibile con la categoria (concettualmente differente) della nullità, per la quale
prevista a certe condizioni la sanatoria per il raggiungimento dello scopo: sostiene il detto
orientamento che la nullità attiene «a vizi dell'atto e non a vizi del deposito, il quale resta un'attività materiale priva di requisito volitivo autonomo» per cui diventa preferibile parlare di inammissibilità piuttosto che di nullità.’
Secondo la contraria posizione [Tribunali di Trani, 5 settembre 2016, n. 3551/16; Bari, 18 ottobre 2016; Asti, 23 marzo 2015], poiché non è stata prevista alcuna sanzione in caso di deposito degli atti introduttivi in forma diversa da quella telematica, in virtù dei principi di libertà delle forme e della salvezza per il raggiungimento dello scopo la parte che si costituisca per via telematica non può essere penalizzata.
In relazione al reclamo cautelare è stata introdotta la parallela questione degli atti
“endoprocessuali”, sostenendo appunto che non potrebbe esigersi la forma telematica del
deposito, poiché il reclamo non è atto endoprocessuale ma introduce un giudizio diverso, seppure collegato alla prima fase: esso, in quanto atto introduttivo del relativo, nuovo giudizio sulla domanda cautelare — con effetti pienamente devolutivi e sostitutivi del provvedimento impugnato —, ha la funzione di consentire alla parte reclamante di costituirsi nel predetto giudizio e chiedere la fissazione della prima udienza per poi notificare il reclamo medesimo e il decreto di fissazione dell'udienza alla controparte che si costituirà a sua volta.

Secondo alcune delle pronunce meno rigorose, va comunque considerato che anche per l’atto
endoprocessuale non vi è alcuna norma che sanzioni con l'inammissibilità il deposito in forma
differente; e dunque è stato affermato che, in assenza di una disposizione espressa che così sanzioni il deposito degli atti introduttivi in forma diversa da quella del deposito telematico, se il reclamo è depositato in forma cartacea (ma nel rispetto del termine indicato e secondo le modalità previste per tale tipo di deposito) e se è avvenuta la regolare instaurazione del contraddittorio la violazione dell’avverbio esclusivamente non può soffrire sanzione, in omaggio ai principi di libertà delle forme e di raggiungimento dello scopo, né può esserne ravvisata la nullità (conseguenza che ai sensi dell'articolo 156, comma 1 c.p.c., deve essere espressamente comminata dalla legge).

Anche i giudici di legittimità hanno scelto di aderire all’impostazione meno rigorosa, affermando
che la questione, stante l’assenza di espressa sanzione di nullità del deposito telematico di un atto introduttivo, va risolta facendo riferimento ai ricordati principi della strumentalità delle forme e del raggiungimento dello scopo posto che, se l'atto supera i controlli automatici della cancelleria e viene messo a disposizione delle parti, esso ha senz’altro realizzato la presa di contatto tra la parte depositante e l'ufficio giudiziario [cfr. Cass. n. 9772/16].
La Corte ha richiamato la giurisprudenza dl legittimità (Cass. S.U. n. 5160/09) in materia di deposito irrituale di un atto processuale spedito a mezzo posta (nello stesso senso Cass. n. 21667/ 12, n. 3209/12, n. 30240/ 11, n. 23239/ 11, n. 12663/ 10), secondo la quale deve aversi riguardo allo scopo essenziale del deposito di un atto giudiziario, che consiste nella «presa di contatto» fra la parte e l'ufficio dinanzi al quale pende la trattazione della controversia: ragion per cui se il deposito telematico di un atto introduttivo o di costituzione in giudizio abbia superato i controlli della cancelleria e sia stato comunque dato corso al procedimento, l’irregolarità deve ritenersi sanata per il concreto raggiungimento dello scopo e ciò con effetti dal momento in cui l'atto è stato depositato
e accettato dalla cancelleria. I giudici si sono pronunciati, dunque, nel solco della più recente
decisione (Cass. n. 12509/ 15) in tema del deposito dell'atto di costituzione in giudizio a mezzo
posta. In modo analogo — e perciò i principi espressi valgono, mutatis mutandi, per la costituzione
non telematica — alla costituzione a mezzo posta, la costituzione telematica realizza una modalità
del deposito che, in quanto attività materiale priva di requisito volitivo autonomo, ha lo scopo di
realizzare esclusivamente la "presa di contatto" fra la parte e l'ufficio giudiziario: è perciò pertinente
il riferimento al principio della strumentalità delle forme (e a quello per cui l'ordinamento tende a
soffrire le volte in cui il processo civile si concluda con una pronuncia di carattere meramente
processuale) nell'ipotesi di casi controversi — se si dibatte, per esempio, ‘in ordine alla
qualificazione da attribuire all'atto depositato, se abbia carattere introduttivo o endo-
procedimentale — ed è ragionevole l’approccio «conservativo», finalizzato a una pronuncia di
merito che dica il torto e la ragione.
Su una questione simile (il deposito telematico anziché cartaceo in un momento in cui non era
ancora entrato in vigore l’obbligo del deposito telematico di cui all’articolo 16 bi: del D.L.vo 179/12)
si è pronunciata da ultimo la giurisprudenza di legittimità, valorizzando ancora l’aspetto della mera
irregolarità del deposito che avviene non nelle forme prescritte e tuttavia in forma conosciuta
dall’ordinamento; la Corte ha richiamato la nota decisione a sezioni unite n. 5160/09 sopra
richiamata in materia di deposito a mezzo posta, in cui è stato ritenuto, come si è accennato, che il «deposito così come nel caso realizzato integrasse una deviazione dallo schema legale valutabile come mera irregolarità, non essendo prevista dalla legge una nullità in correlazione a tale tipo di vizio; nel caso, ha quindi concluso che dovesse valorizzarsi il conseguimento dello scopo della presa di contatto tra la parte e l'ufficio giudiziario, integrata dall’attestazione da parte del cancelliere del ricevimento degli atti e dal loro inserimento nel fascicolo processuale» [Cass. n. 22479/ 16].

I giudici hanno, tra l’altro, fatto riferimento all’orientamento, già ricordato sopra, espresso con la sentenza n. 9772/16 con riferimento al deposito in forma telematica dell'atto introduttivo di un giudizio dinanzi al tribunale in epoca successiva al 30 giugno 2.014, nel regime del D.L. n. 179 del 2012, art.16 lai: ma anteriore alla modifica introdotta dal D.L. n. 83 del 2015.

Nel caso di specie si tratta degli atti e dei documenti allegati alla memoria integrativa/comparsa di costituzione del convenuto, depositata solo in formato cartaceo con il fascicolo di parte e documenti
in esso allegati. Il procedimento si era ovviamente già instaurato con la fase della convalida, a
contraddittorio regolare: fissata l'udienza di convalida, avvenuta la notifica il resistente si è
presentato all’udienza e quindi il giudice ha ordinato il mutamento del rito.
 La parte resistente si è costituita tuttavia e in ogni caso tardivamente, con il detto deposito in cancelleria svolgendo le proprie difese, e i suoi atti hanno raggiunto la funzione tipica del contatto con l’ufficio giudiziario,oltre a essere stati posti a disposizione della parte attrice che li ha contestati. Il deposito in forma“tradizionale” comporta dunque la semplice irregolarità, ovvero una imperfezione o deviazionedallo schema legale tipico di riferimento che non vizia la costituzione in giudizio del resistente/convenuto né impedisce il successivo adattamento alla veste normativamente prevista.
P.Q.M.
invita il difensore del convenuto V. C. a regolarizzare il deposito dei documenti nella forma
telematica e secondo quanto previsto dalla normativa di legge e regolamentare in proposito entro
il 16 aprile 2018.
b) quanto alla condizione di procedibilità, si rileva che la mediazione non è stata correttamente
svolta, in quanto le parti non risultano essere entrate nel discorso conciliativo.

E’ stata prodotta in atti la copia del verbale negativo di mediazione nella relativa procedura.
In tale verbale, il mediatore dà atto della presenza delle parti e dei difensori, dell’invito a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura e della dichiarazione delle parti: la parte invitata afferma «non vi sono i presupposti per attivare la procedura di mediazione» e la parte istante «prende atto della mancata volontà di attivare la procedura di mediazione»; così, preso atto delle dichiarazioni rese dalle parti [……] dichiara esaurita la fase del prima incontro e ordina di archiviare il procedimento.


La “mediazione” così come si è in concreto svolta non è idonea a soddisfare la condizione di
procedibilità prevista dalla legge.


Come ormai concordemente sostenuto dalla giurisprudenza di merito (tra gli altri, cfr. l’ordinanza emessa dal Tribunale di Firenze, II sezione civile, il 19 marzo 2014, pronunziata in un caso di mediazione obbligatoria ex officio iudicis), le condizioni verificatesi le quali può ritenersi correttamente formata la condizione di procedibilità sono:
 1) che vi sia stata la presenza personale delle parti;
 2) che le parti abbiano effettuato un tentativo di mediazione vero e proprio.

A definire cosa debba intendersi per tentativo vero e proprio e non meramente formale, al fine di non vanificare l’intento del legislatore e gli intenti della direttiva europea n. 52/08 nell’ambito degli scopi di alleggerimento del contenzioso, è opportuno prendere le mosse dalla formulazione, solo in apparenza ambigua, degli articoli 5 e 8 del D.L.vo n. 28/ 10: in quest’ultimo sembra che il primo
incontro sia destinato solo alle informazioni date dal mediatore e a verificare la volontà di iniziare la mediazione (l’art. 8 prevede, infatti, che <>). Tuttavia, l’articolo 5, comma 5 bis fa riferimento a un <>.

Sembrerebbe dunque che il primo incontro non sia una fase estranea alla mediazione vera e propria, ma una parte di essa, dato che non avrebbe logica parlare di ‘mancato accordo’ se il primo incontro fosse destinato non a ricercare l’accordo tra le parti rispetto alla lite, ma solo la volontà di iniziare la mediazione vera e propria. Tenendo presente, invece, lo scopo dell’istituto, anche alla luce del contesto europeo in cui — come si è detto — si inserisce, non può ritenersi che alle parti sia consentito presenziare sic et simpliciter manifestando che non è loro reale intenzione addivenire a un accordo, restando ferme sulle rispettive posizioni e attendendo il verbale negativo grazie al quale poter-finalmente sfogare in giudizio le proprie pretese.
La loro effettiva presenza nel procedimento di mediazione e l’effettivo avvio di un sostanziale tentativo di mediazione ha lo scopo di riattivare la comunicazione tra persone in lite, al fine di renderle in grado di verificare la possibilità di una soluzione concordata del conflitto; ritenere che la condizione di procedibilità sia assolta dopo un primo incontro in cui il mediatore si limiti a chiarire alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione (funzione, peraltro, che dovrebbe essere già stata svolta dagli avvocati prima de]l’avvio della procedura) vorrebbe significare che giudice, mediatore e difensori altro ruolo non svolgono che quello di recepire passivamente l’atteggiamento delle parti, limitandosi a registrarlo senza effetto alcuno e a descriverlo in verbali senza alcuna finalità realmente conciliativa.
 È stato osservato, con espressione assai efficace, che «non avrebbe ragion d’essere una dilazione del processo civile per un adempimento burocratico del genere».
La dilazione ha senso, invece, quando una mediazione sia effettivamente svolta e vi sia stata
un’effettiva opportunità di raggiungere l’accordo tra le parti in conflitto.
Tale interpretazione non è contraddetta da quanto previsto all’articolo 5, comma 2 bis del D.L.vo 28/10, secondo cui «quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo».
La disposizione sembra a prima lettura richiamare “il primo incontro” di cui
all’articolo 8 comma 1 e di conseguenza il giudice non potrebbe esigere, al fine di ritenere
correttamente formata la condizione di procedibilità, che le mediazione sia stata tentata anche oltre
il primo incontro. Tuttavia, egli può comunque pretendere che in questo primo incontro il tentativo di mediazione sia stato effettivo. In contrario non si può argomentare dall’articolo 8 citato, nella
parte in cui statuisce che «durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le  modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita
poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel
caso positivo, procede con lo svolgimento».
Solo apparentemente, infatti, in essa può leggersi che il mediatore potrebbe, nel primo incontro, non avere neppure la possibilità di tentare un accordo se le parti non vogliono che ciò accada: ciò starebbe a dire che se le parti e i loro avvocati non vogliono effettuare un vero tentativo di conciliazione (magari per non pagare il compenso all’organismo di mediazione) possono limitarsi a suscitare la procedura, presentarsi e esprimere in quella sede preliminare la volontà contraria a iniziare una mediazione e così adempiere alla condizione di procedibilità.
 A parte il nonsense di una simile previsione nel contesto sopra richiamato di risoluzione stragiudiziale dei conflitti, una lettura del genere non avrebbe altro effetto che rendere la mediazione obbligatoria null’altro che... facoltativa. Il mediatore avrebbe la sola funzione di valutare se tentare o meno di verificare se effettivamente le posizioni delle parti sono inconciliabili, senza voler considerare che in tal caso una sola delle parti potrebbe farsi arbitro assoluto dell’esito della procedura, chiudendosi al primo incontro e costringendo il mediatore e a prenderne atto (è stato anche osservato, al riguardo, che non ci sarebbe da stupirsi a constatare il frequente uso di “diritto potestativo” di tale genere, anche solo volendo considerare che in caso di mancato accordo in quella fase nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione).
 Al giudice spetta, invece, di interpretare la normativa interna anche in conformità a quella europea —che in questo settore chiede, come si è ripetuto, di agevolare il più possibile la soluzione delle
controversie in modo alternativo a quello giudiziario: perciò appare più corretto interpretare la
norma nel senso che il mediatore, nell’invitare le parti e i loro procuratori a esprimersi sulla
possibilita‘ di iniziare la procedura di mediazione, deve verificare se vi siano i presupposti giuridici e
di fatto per poter procedere (come può essere, per esempio, una delibera che autorizza
l’amministratore di condominio a stare in mediazione, un’autorizzazione del giudice tutelare per un
minore oppure la presenza di tutte le parti in caso di litisconsorzio necessario). Non può risolversi la
funzione del mediatore nel chiedere alle parti se vogliono procedere, poiché il legislatore non ha
detto che egli deve verificare la “volontà” delle parti e dei procuratori, ma invitarli a esprimersi sulla “possibilità” di iniziare la procedura di mediazione, aggiungendo che procede con lo svolgimento non “se le parti vogliono”, ma “nel caso positivo” della svolta verifica.

Nel caso di specie, dal verbale negativo di conciliazione emerge chiaramente che non è stata
neppure tentata una vera e propria mediazione.

                                                                       P.Q.M.

il giudice assegna alle parti il termine di decorrente dalla data odierna per la presentazione della
domanda di mediazione, riservando all’esito ogni ulteriore provvedimento.
Fissa per la verifica l’udienza del 28 settembre 2018 alle ore 9.30.
Caserta, 6 aprile 2018
La giudice
Carla Bianco 



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 Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sentenza del 6 aprile 2018